Se la politica non sa mediare, ha fallito: sia la Prefettura a cercare la mediazione tra Comune e comunità islamica

“Se la politica non riesce a essere un punto alto di mediazione nell’interesse generale, le istituzioni saltano e prevale chi ha più forza economica o più forza di pressione”. Questa è una frase pronunciata dal nostro Presidente della Repubblica che chiunque rivesta una carica pubblica o istituzionale farebbe bene ad incorniciarsi nel proprio ufficio.

L’arte della politica passa soprattutto per la via della mediazione. Quando la politica non riesce a mediare, ha semplicemente fallito. Mediare non significa riconoscere il torto altrui, o imporre la propria ragione, ma semplicemente perseguire il bene supremo della pacificazione sociale. Quando il Papa ha osato dire che l’Ucraina dovrebbe alzare bandiera bianca, riconoscendo che la guerra è persa da tempo e che si potrebbero risparmiare migliaia di vite umane, è stato letteralmente massacrato da chi invece di ragionare,  non ha mai tolto le vesti del tifoso, dell’ultras.

Un grande politico non è colui che realizza strade, ferrovie, monumenti, opere pubbliche, ma chi riesce ad amministrare, a governare, cercando di salvaguardare tanto l’interesse particolare, quanto quello generale, insieme, cercando il giusto equilibrio.

Venendo al caso Monfalcone, sinceramente, di questo braccio di ferro, tra due posizioni opposte, inconciliabili , con ognuno che vive e racconta la propria verità, semplicemente, non se ne può più.

A Monfalcone non è in discussione il diritto di pregare, si è sostenuto. Bene. Si tratta di una questione di legalità, quale la salvaguardia dell’incolumità altrui e della sicurezza. Ottimo. Ma la legalità passa anche nell’adoperarsi, direttamente o indirettamente, per cercare di venire incontro alle esigenze di migliaia di monfalconesi prevalentemente di fede musulmana che chiedono di essere facilitati nell’avere un luogo dove poter pregare. D’altronde il problema non è la preghiera, si è detto e che a Monfalcone non è in discussione il diritto di pregare.

E allora perché non si può essere facilitatore verso chi non ha uno spazio dignitoso dove poter esercitare liberamente ed in sicurezza il proprio culto? Cosa che interessa tutti, visto che stiamo parlando non di marziani, ma di cittadini monfalconesi.

Che non significa dover costruire moschee o chiese.

Ciò ovviamente non può competere al Comune, o allo Stato, siamo un Paese laico ancora.

Così come sbagliato è mostrare i muscoli cercando di ostentare la propria fede, che dovrebbe essere un fatto privato, pretendendo di pregare in piazza sotto il balcone del sindaco. Sindaco che tra l’altro è ora anche sotto scorta, fatto gravissimo e senza precedenti qui da noi.

Usare la piazza come ring non fa altro che fomentare la strumentalizzazione politica della religione che rientra nel braccio di ferro in corso di cui non se ne può sinceramente più.

Non ne uscirà vincitore nessuno da questa vicenda, quando hai migliaia di persone in subbuglio, scontente, nervose, che si sentono come emarginate, discriminate, si tratta di un problema sociale enorme che sicuramente non si potrà risolvere con la forza dell’imposizione, ma con la forza della mediazione che a questo potrà essere tentata solo da un organo istituzionale “imparziale”, come la Prefettura, ad esempio.

Altra soluzione, sinceramente, non la intravedo. Qui non c’entra essere di destra, centro, sinistra, cattolici, musulmani, laici o quello che si vuole, ma semplicemente cittadini letteralmente stufi di questa tensione sociale che non fa il bene di Monfalcone e del nostro Paese.

Marco Barone

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