Aspettando l’8 e il 9 giugno: L’Unione Europea ci ha portato la pace

L’Unione Europea ci ha portato la pace 

Ogni settimana gli istituti demoscopici del Regno Unito monitorano l’opinione pubblica del loro Paese chiedendo se vogliono continuare a rimanere fuori dall’UE. L’ultimo sondaggio mostra che il 60% dei britannici tornerebbe nell’Unione, addirittura il 40% lo farebbe anche se la condizione imposta da Bruxelles fosse l’abbandono della sterlina e l’adozione dell’euro. Che l’opinione pubblica di uno dei Paesi più importanti del mondo si sia amaramente pentita della scelta fatta nel 2016 di lasciare l’Unione la dice lunga sulla scarsa lungimiranza degli euroscettici.
Ma ripartiamo con ordine, così per darvi qualche spunto di riflessione alla vigilia delle elezioni per il Parlamento europeo.
Cosa mosse alcuni politici e intellettuali alla fine della Seconda guerra mondiale a immaginare un’unione, prima economica e poi politica, dei Paesi del Vecchio continente? Li mosse la consapevolezza che il nostro continente dal 1914 al 1945 aveva visto il più spaventoso massacro della storia umana. Due guerre mondiali, un’immane carneficina con decine di milioni di morti, feriti, economie distrutte, profughi, persecuzioni e l’Olocausto; alla fine di trent’anni maledetti un muro divideva popoli e nazioni dal Baltico all’Adriatico e, di lì a poco, missili nucleari puntati gli uni contro gli altri avrebbero potuto spazzare via il genere umano in pochi minuti. Di fronte a ciò era necessario disinnescare il virus che aveva portato tali enormi tragedie: il nazionalismo.
Quindi, quando vi chiedete cosa abbia portato l’Unione europea ai Paesi che vi hanno aderito, ricordatevi che il primo bene che abbiamo avuto è stata la pace.
Quando nell’89 crollò il muro di Berlino e la divisione dell’Europa fu superata, i Paesi rimasti fuori dall’Unione attraversarono un periodo di grande instabilità politica ed economica. Tutti ricordiamo il sangue sparso nella ex Jugoslavia dal mostro nazionalista che si era risvegliato; così il progressivo ingresso nell’UE dei Paesi dell’Est, spesso di precarie tradizioni democratiche, ha garantito pace e stabilità nel continente.
Un’altra prova che meriterebbe fare è guardare ai Paesi fuori dall’Unione e a come quei popoli guardano a noi. Da Kiev a Chisinau, da Tbilisi a Erevan in tanti ambiscono a entrare nell’UE, consapevoli che l’alternativa è finire nelle grinfie di un regime dispotico e sì, possiamo dirlo, fascista come quello della Russia di Putin.
Vediamola allora da un altro punto di vista: l’Unione europea rappresenta la parte del mondo che gode della migliore qualità della vita. Certo, la ricchezza ha una distribuzione ineguale, problemi sociali e di diritti sono profondi in diverse nazioni europee, ma non c’è altro posto nel mondo, né i ricchissimi Stati Uniti né la Cina, dove sono tenute insieme ricchezza economica, giustizia sociale e libertà come in Europa.
È vero, l’UE spesso non si fa una buona pubblicità, troppe volte appare ferma, impacciata, più preoccupata a regolare la misura delle melanzane che a essere protagonista della scena internazionale, ma ciò accade a causa di gelosie degli Stati nazionali, di piccoli interessi locali, che frenano il processo di integrazione.
Oggi gli europei possono muoversi liberamente, commerciare, lavorare entro l’Unione e, progressivamente, il livello dei diritti civili tende a essere omogeneo, a tutto vantaggio di chi, come noi, è ancora arretrato. Negli anni enormi fondi sono stati destinanti ai Paesi più poveri, da quelli dell’area mediterranea a quelli dell’Europa orientale, per sviluppare le economie e migliorare la vita delle persone.
Da noi diverse forze politiche, quasi sempre a destra, confidano nella scarsa memoria dell’elettorato, vaneggiando su uscite dall’euro e dall’Unione. Ma vi immaginate di fronte alle turbolenze dei mercati internazionali a cosa sarebbe servita la nostra liretta? Pensate che i nostri conti correnti, i mutui, gli investimenti sarebbero stati sostenibili con una moneta che per stare in piedi veniva sistematicamente svalutata? L’ondata inflazionistica che ci ha colpito negli ultimi anni è stata certamente grave per i nostri portafogli ma se l’avessimo affrontata senza l’euro oggi ci troveremmo con le pezze al culo. E gli investimenti arrivati grazie all’Unione? Infrastrutture, aree urbane sono state risanate attraverso i fondi comunitari e non solo al sud. Vi ricordate com’era il centro di Trieste fino a trent’anni fa? Se oggi è completamente rinnovato lo dobbiamo ai fondi europei. Quindi se qualcuno oggi si presenta con parole d’ordine come il sovranismo, che non è altro che il vecchio nazionalismo che si è dato una ripulita, o con lo slogan “meno Europa”, non merita di certo il voto ma solo una solenne pernacchia.
Non c’è dubbio che così com’è l’Europa non funziona più e ha bisogno di un salto di qualità: deve diventare un’istituzione sempre più democratica e federale in cui le istituzioni sovranazionali devono sostituirsi alle piccole gelosie nazionali; deve diventare un soggetto internazionale che parla con una voce sola e anche con un suo esercito (che sarebbe assai più efficiente e meno costoso di tante piccole armate nazionali).
Non basta dire solo vogliamo più Europa, bisogna dire che Europa si vuole. Ci vuole un’Unione che investa ancora di più nelle politiche sociali, che non sia solo ossessionata dai conti ma capisca che ci vogliono investimenti e risorse comuni. Certamente delle sane finanze pubbliche sono fondamentali ma se non si investe in lavoro, welfare, istruzione, se non si realizza una politica fiscale unica non faremo mai quel salto di qualità necessario.
Alle porte del nostro continente si affacciano milioni di persone in cerca di un futuro migliore. Noi abbiamo provato guerre e miseria, siamo migrati da un Paese all’altro, oggi questo tema non può essere affrontato solo con la paura e i fili spinati. Un grande e ricco continente può dare una mano a risollevare i Paesi più poveri e può anche accogliere coloro che domani potranno essere i nuovi europei.
L’UE è stata importante per le nostre vite e, se sarà capace di rinnovarsi, continuerà a esserlo; diamo il nostro contributo andando a votare chi crede nell’Unione, in un’Europa di libertà e giustizia sociale, un voto che premi le forze progressiste.
Per chiudere, c’è chi, partendo da casa nostra, si candida in Europa inneggiando alle guerre di religione, per innalzare muri, per avere “meno Europa”: meglio che stia a casa. Ci ha fatto vergognare abbastanza, ora basta.
Stefano Pizzin

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