La piazza: un deserto identitario da ripopolare a qualsiasi costo

Fin dai tempi antichi, le piazze cittadine sono state il centro pulsante delle comunità, servendo come punto di incontro sociale, politico, commerciale e culturale.

Nelle civiltà greca e romana, le agorà e i fori costituivano spazi pubblici vitali in cui gli abitanti si riunivano per discutere di questioni politiche, commerciare merci e condividere idee. La piazza era uno spazio di libero scambio di informazioni, dove le persone potevano esprimere le loro opinioni e partecipare alla vita civica.

Durante il Medioevo, le piazze furono importanti centri sociali ed economici, tanto che molte città europee si svilupparono anche attorno alla loro piazza centrale (si pensi alla Piazza del Campo di Siena o alla Piazza San Marco a Venezia) che divennero luoghi di eventi pubblici, celebrazioni religiose, fiere e mercati. Queste piazze erano spesso anche il luogo ove sorgevano edifici pubblici e chiese, simboli del potere politico e religioso. Durante il Rinascimento, le piazze divennero luoghi di scambio intellettuale, dove artisti, scienziati e filosofi si incontravano per discutere e condividere le loro idee; piazza Navona nella Roma barocca, ad esempio, fu un importante punto di incontro per gli artisti dell’epoca.

Nel corso dei secoli successivi, le piazze sono state anche il luogo di proteste e manifestazioni politiche, diventando simboli di democrazia e di voce popolare; il caso più emblematico potrebbe essere la famosa presa della Bastiglia (nella Piazza della Bastiglia a Parigi) durante la Rivoluzione Francese.

Anche nell’era moderna, le piazze sono rimaste luoghi di vita urbana, spesso circondate da negozi, caffè, ristoranti e aree pedonali, e rappresentano luoghi dove le persone si incontrano per socializzare, fare acquisti, partecipare a eventi culturali e semplicemente godersi la vita all’aperto.

… E a Monfalcone?

Anche tralasciando (ovviamente, e soprattutto per motivi storici e dimensionali) l’impietoso confronto con Roma, Venezia e Parigi, bisogna ammettere che la nostra piazza centrale non è mai davvero entrata nel cuore e nelle abitudini dei monfalconesi.

Originariamente individuata in uno spazio esterno alle antiche mura cittadine, divenne luogo di mercato, circolazione carrabile e sosta. Assunse la forma di piazza irregolare (il celebre biscotto) a causa dell’asimmetrico sviluppo urbano e fu definita da un marciapiede durante l’era fascista dal podestà Giuseppe Dolazza. Di seguito ospitò mercatini e concerti e fu destinata a parcheggio nelle serate di teatro. Nel recente passato, con la sindacatura di Gianfranco Pizzolitto, fu definitivamente adibita ad area pedonale e dotata di panchine e alberi per incentivare il libero utilizzo da parte dei cittadini.

In questi ultimissimi anni la piazza di Monfalcone è stata ripavimentata, sono state tolte le panchine e gli alberi ed è stata ricreata visivamente la forma ovoidale di circa cento anni fa. Unici elementi architettonici significativi (…) una fontana lato strada, ancora da ultimare, e una riproduzione di un “feràl” austriaco che dovrebbero suggerire un’identità storica che probabilmente la cittadinanza attuale riconosce poco o per nulla propria.

Il risultato finale è che la nostra piazza risulta una desertica spianata, calda d’estate e anonima d’inverno, dove i monfalconesi non si incontrano, e nemmeno transitano, se non in occasione delle poco affollate manifestazioni che vi si svolgono.

Le ragioni sono molteplici: prima fra tutte il fatto che i monfalconesi (checché ne dicano alcuni) non sono mai stati molto affezionati alla loro piazza grande, salvo che a carnevale e a san Nicolò; di seguito, che non si capisce perché mai ci dovrebbero andare, considerato che non c’è nemmeno dove sedersi o dove prendere refrigerio in compagnia (visto che gli alberi, piantati quando la piazza è stata resa pedonale, sono stati rimossi per permettere la recente ripavimentazione).

Fanno parzialmente eccezione i monfalconesi di più recente arrivo, e in particolare quelli provenienti dal Bangladesh, che per loro cultura d’origine, ma anche per necessità connesse alla socialità di una comunità immigrata, sono più propensi ad incontrarsi negli spazi all’aperto… preferibilmente all’ombra degli alberi e sedendo su una panchina, ma in mancanza d’altro…

Apriti cielo! La piazza nuova e identitaria (così ci dicono…) popolata solo da immigrati, e il tutto essendo “regnante” una amministrazione di destra-centro che ha fatto del “meno immigrati” la principale bandiera delle sue campagne elettorali.

Una tragedia degna di Nemesi (la dea greca che distribuiva la giustizia compensatrice…): chi si è schierato apertamente contro gli immigrati e ha ripavimentato la piazza per accontentare i monfalconesi “oriundi” si ritrova con una anonima spianata popolata (quasi) solo da bengalesi.

E allora ogni rimedio è lecito; ogni sacrificio è opportuno. Tutto purché questa (ai loro occhi drammatica) evidenza non diventi troppo evidente.

Manifestazioni costino quel che costino. Concerti d’ogni tipo, carnevali fuori ricorrenza, riesumazione di sagre ignote ai più, sfilate improbabili, notti d’ogni colore e tipo, estati sfavillanti e … ultimo colpo di scena: lo spostamento di qualsiasi servizio pubblico (specie quelli che funzionano e quindi richiamano persone). Dove? Ma in piazza, naturalmente! E senza tenere conto del servizio già erogato, dei recenti investimenti, della funzionalità, delle necessità intrinseche che taluni servizi hanno, della progettualità necessaria … insomma: va bene tutto purché la piazza sia piena (e sempre sperando che lo diventi…)

L’ultima trovata (forse suggerita dalla stessa intellighenzia che ci ha regalato l’identità al sapore di pilo e feràl…) è lo spostamento della biblioteca.

La nostra biblioteca: frutto di precisa progettualità, di studio e di specifiche scelte per tipologia di servizio e per fruibilità. Un gioiellino cittadino che funziona benissimo e che gode di grandi apprezzamenti e numerosa utenza.

Spostare tutto per popolare la desolata agorà cittadina… una scelta degna di Sansone, del suo sacrificio e della morte di tutti i filistei.

Prepariamoci: non sarà l’unica scelleratezza inventata da questa amministrazione per porre rimedio a una ripavimentazione selvaggia, costosa e senza progettualità che non ha portato nessun beneficio alla città e ai cittadini, e che ora rischia di arrecare ulteriori irrimediabili danni a tutti noi.

Prepariamoci a contestare, contrastare e se serve anche ad agire oltre. Perché Sansone può anche decidere (male) a causa della sua disperazione, ma la città e i suoi servizi più importanti devono sopravvivere, anche a questo contraddittorio governo destrorso, e anche ai suoi strampalati suggeritori.

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